Di ricente mi hanno fatto una domanda: qual’è il peccato che conduce alla morte?
Se qualcuno vede suo fratello commettere un peccato che non conduca a morte, preghi, e Dio gli darà la vita: a quelli, cioè, che commettono un peccato che non conduca a morte. Vi è un peccato che conduce a morte; non è per quello che dico di pregare. (1 Giovanni 5:16-17)
Pare che Giovanni qui faccia una distinzione tra i peccati per i quali possiamo pregare (quelli che non conducono a morte) e quelli per i quali la preghiera non serve (quelli che conducono a morte). In altre parole dovremmo pregare per coloro che commettono peccati lievi, ma non perdere tempo per coloro che commettono quel tipo di peccato.
Dunque qual è il peccato che porta alla morte e perché non dovremmo pregare per le persone che commettono questo peccato?
Alcuni dicono che questo peccato sia quello imperdonabile dell’incredulità. Però, se fosse cosi, non dovremmo pregare per i nostri amici e familiari non credenti.
Ho anche sentito dire che potrebbe essere quello di prendere la cena del signore indegnamente, o mentire allo Spirto Santo come fecero Anania e Saffira. Oppure potrebbe essere quel peccato che si continua a commettere senza confessarlo e pentirsi che Dio poi punirebbe con la morte.
In breve, il peccato che conduce alla morte sarebbe così grave e così offensivo che non avrebbe senso chiedere a Dio il suo intervento.
Di quale morte sta parlando Giovanni?
Partiamo dicendo che Giovanni non sta istruendo i suoi lettori a non pregare per le persone che commettono peccati che portano alla morte. Altrimenti questo significherebbe che quando i cristiani commettono certi peccati che possono portare alla morte, non dovremmo pregare per loro. Ovviamente no, non c’è peccatore al di fuori della potente grazia di Dio.
Secondo lo scrittore
quando leggiamo la Bibbia, tendiamo molto a “spiritualizzare” alcune parole al punto che le parole lette in un altro contesto diventano completamente diverse se lette nella Bibbia.Ad esempio, prendi la parola “vita”. Se stiamo leggendo un libro sui consigli per la salute o su qualsiasi altro argomento, capiremo che la parola “vita” non ha nulla a che vedere con la vita eterna.
Ma quando leggiamo la Bibbia e indossiamo le lenti “spirituali” è possibile che una volta trovati di fronte alla parola “vita” potremmo interpretarla come se avesse qualcosa che a che fare con la vita eterna.
Lo stesso vale per la parola “morte”.
Se leggessimo un articolo su un giornale dal titolo “10 cose che portano alla morte”, sapremmo che l’articolo parlerà probabilmente di 10 cose che rovinano la nostra salute e portano ad una morte prematura. Questo potrebbe includere cose come fumare, non fare esercizio fisico, bere troppi superalcolici o gettarsi da un ponte .
Però, quando leggiamo la Bibbia e ci imbattiamo nel peccato che porta alla morte, pensiamo subito che ciò si riferisca alla morte spirituale o alla perdita della vita eterna, o qualcosa del genere. Questo è ciò che accade quando leggiamo 1 Giovanni 5:16-17.
In realtà quello che Giovanni sta dicendo è che ci sono dei peccati per i quali la morte è una rapida conseguenza:
Vi è un peccato che conduce a morte; non è per quello che dico di pregare. (1 Giovanni 5:17)
In altre parole ci sta dicendo quando è tempo di pregare e quando non è più tempo.
Quando i nostri fratelli e le nostre sorelle inciampano nel peccato, siamo chiamati a pregare per loro.
Se sono caduti in una dipendenza, preghiamo per loro. Se hanno manie depressive o suicide, preghiamo per loro. Se stanno tradendo il loro coniuge, preghiamo per loro. Se non credono più alla grazia di Dio perché pensano che Dio li abbia abbandonati, preghiamo per loro.
La preghiera non ha limiti!
Ma cosa succede se il fratello o la sorella peccatori fanno scelte che portano la loro vita ad una fine prematura? A quel punto non ha più senso pregare. La nostra responsabilità di pregare finisce alla tomba. Quello che succede dopo riguarda Dio.
Se questo tipo di interpretazione ti sembra un azzardo, ricorda che oggi ci sono gruppi religiosi che pregano per i defunti. Ed ai tempi di Giovanni c’erano persone (gli gnostici) che pregavano in modo simile.
Infatti per gli gnostici la preghiera è senza tempo, come Dio è senza tempo. E il tempo per loro è un’illusione. Quando pregano entrano in una conversazione intima con il Divino e in quella conversazione non hanno vincoli spazio/tempo. Perché secondo loro le preghiere dette oggi possono dare forza a persone esistite secoli prima. E le preghiere fatte secoli prima possono avere azione oggi (Devozioni gnostiche).
Quindi Giovanni sta dicendo che tali preghiere non sono necessarie. Se una persona commette un peccato che porta alla morte, non abbiamo bisogno di pregare per questo. Prega invece per coloro che sono ancora in vita, non importa quanto grave possa essere il loro peccato.
Non pregare per i morti
Il consiglio di Giovanni è che quando vediamo un fratello o una sorella intrappolati in un peccato che può portare alla loro morte, dovremmo pregare per loro, supplicarli di abbandonare le loro vie e fare tutto il possibile per aiutare a riportare questa persona nella comunione con Dio (Giacomo 5:19-20).
Ma se muoiono a causa del loro peccato, possiamo imparare dai loro errori e supplicare gli altri di abbandonare peccati simili, ma non abbiamo bisogno di pregare per coloro il cui peccato ha portato a una morte prematura. Questi fratelli ora sono con Dio.
Gent. Sig. Eze, buongiorno, mi chiamo Antonio Buoso; ho avuto modo di leggere l’argomento
da lei esposto sulla scrittura di 1° Giovanni 5:16,17. Devo dirle sinceramente di
non essere d’accordo con questo tipo di interpretazione. Per quanto deduco, lei
ritiene che il “peccato imperdonabile” riguarda coloro a causa del proprio peccato (dovuto
ad una scelta di vita sbagliata) sono morti prematuramente o si sono causati la morte anzitempo.
Ad esempio, un credente cristiano inizia a far uso di droga a tal punto che questa pratica
lo condurrà alla morte. Questa persona secondo le sue conclusioni, si è macchiato di un
peccato imperdonabile! Il problema è che lei non sostiene questo ragionamento con alcuna
scrittura; le sue sono solo ipotesi interpretative.
Pensiamo ad un credente che muoia a seguito di una pratica che la Bibbia condanna come la dipendenza dal fumo, alcoolismo; questo basterebbe a stigmatizzarlo come colpevole di
“peccato imperdonabile”? NO!! perchè Romani 6:7 dice che “colui che è morto è “stato
assolto o giustificato del suo peccato”; pertanto non ha senso pensare che l’apostolo
Giovanni si stesse riferendo ad una situazione simile, anche perchè Giovanni dice di non “pregare” per lui, e poichè i veri cristiani non pregano per i morti, Giovanni si riferiva a individui viventi, che costituivano una minaccia per la comunità cristiana.
Il biblista cattolico Giuliano Vigini, nel suo Commento alla lettera di 1° Giovanni, fa
questa interessante riflessione: “UN PECCATO CHE CONDUCE ALLA MORTE: L’espressione sembra indicare più che un singolo atto, una condizione di peccato. Non c’è un riferimento
specifico nella Bibbia a un atto che conduce alla morte, ma piuttosto a un atteggiamento
di ribellione e rifiuto nei confronti di Dio che, senza pentimento, è destinato alla
condanna eterna. Solo coloro che bestemmiano contro lo Spirito non possono essere perdonati”
Personalmente concordo con questa interpretazione! Non c’è cosa peggiore che prendere posizione contro lo spirito santo di Dio. Un classico esempio furono gli scribi e farisei al tempo di Gesù. Invece di ammettere che Gesù operava i miracoli sotto il potere dello spirito
di Dio, attribuirono il suo potere a Beelzebub (Mt.12:24) cfr.Atti 7:51; ecco perchè Gesù disse le parole riportate sempre in Matteo 12:31:”Perciò vi dico: ogni tipo di peccato e di bestemmia sarà perdonato agli uomini, ma la bestemmia contro lo spirito non sarà perdonata”.
Un personaggio che si macchiò di questo peccato fu Giuda. Ebbe l’evidenza che Gesù era il Messia prescelto da Dio, lo spirito santo lo aveva attestato Atti 10:38, eppure intraprese
un corso apertamente in opposizione a questa indicazione, sino a sfociare nel tradimento.
Ecco perchè Giuda è definito “figlio della distruzione” Giov.17:12
Il peccato imperdonabile non è solo una debolezza della carne. Si tratta di un peccato commesso deliberatamente, con ostinazione e caparbietà. Non avrebbe alcun senso pregare per
una persona con un’atteggiamento simile. Se questa persona non dovesse pentirsi, dovrebbe aspettarsi l’avverso giudizio di Dio che porta alla morte eterna. Cfr.Luca 13:3,5, dove compare il termine greco apollumi che significa “distruzione”.
Gent.mo Sig.Eze, è stato un piacere condividere con lei le mie osservazioni. La incoraggio
a proporre un esegesi biblica più scritturale, con chiari richiami alla Bibbia. Un valido aiuto per pervenire ad un corretto intendimento della Parola di Dio, è il sito JW.org, dove troverà diversi soggetti e tematiche bibliche che le saranno di aiuto.
Rimango a sua disposizione per eventuali ulteriori chiarimenti. Cordiali saluti
Antonio Buoso
Buongiorno Sig. Antonio grazie per la sua condivisone.
Nell’articolo non parlo del “peccato imperdonabile” menzionato nei Vangeli (Matteo 12:31-32; Marco 3:22-30). Perché credo che Giovanni non stia parlando di quello, dato che il versetto 16 di 1Gv5 comincia con: «Se qualcuno vede suo fratello…» .
Una persona nata di nuovo non può più commettere “il peccato imperdonabile”(che tratto in questo articolo)ma solo i non credenti possono incorrere in quel tipo di peccato.
Giovanni qui parla di un altro peccato che può condurre a morte (non quella eterna ma fisica) nel quale qualsiasi credente può incappare.
Una volta che un fratello in Cristo compie un qualsiasi tipo di peccato che lo uccide, come l’uso di droghe, non ha più senso pregare per lui perché è morto ed ora è alla presenza di Dio.